
CHIARA SEMENZIN
L’altra modernità della ricostruzione del Friuli
La ricostruzione del Friuli dopo i terremoti del 1976 costituisce un esempio di risposta complessivamente positiva al recupero del patrimonio ed allo sviluppo di una comunità dopo un evento catastrofico. La scelta della conservazione dei tessuti urbani come erano e dove erano, la gestione della ricostruzione con un sistema di deleghe verso il basso e la rottura rispetto agli approcci immediatamente precedenti sono stati i principali aspetti positivi del processo di ricostruzione friulano. I punti di successo ed i limiti delle scelte intraprese emergono dall’analisi del sistema di gestione, degli strumenti adottati e degli esiti, generali e puntuali, della ricostruzione. La rilevanza dell'esperienza friulana trova riscontro anche nel confronto con altre ricostruzioni post-sisma nell’Italia repubblicana. Partendo dallo studio del Sistema Friuli e dal raffronto con le strategie successive è quindi possibile individuare dei caratteri validi da portare avanti e riproporre aggiornati per future ricostruzioni.

ELISA VENDEMINI
La città delle differenze
La divisione delle popolazioni urbane per etnia, religione o classe sociale è una caratteristica comune nelle città storiche e sempre più frequente nelle città contemporanee. Tra le numerose analisi a riguardo l’etnologo Ralph Leon Beals descrive questa tendenza nell’articolo “Urbanism, Urbanization and Acculturation” pubblicato su “American Anthropologist” del 1951: "È una situazione piuttosto consolidata negli studi urbani che le persone tendono a stabilirsi tra i propri simili”. Perché gli abitanti che condividono aspetti culturali comuni si raggruppano in maniera omogenea? Si tratta di polarizzazioni spontanee o decisioni programmate? Queste sono alcune delle domande che motivano il progetto di ricerca in questo ambito. Uno degli obiettivi è esaminare e confrontare gli insediamenti di epoca preindustriale divisi per etnia o religione, per trarre nuove considerazioni sul futuro dell’integrazione sociale nelle città.

GIULIA PIACENTI
Dal quartiere alla città cellulare. La ricostruzione della piccola dimensione
La ricerca indaga il concetto di quartiere, intendendo per quartiere “una parte della città” secondo la definizione di Ludovico Quaroni che compare nel numero della rivista La Casa del 1956, da lui curato e interamente dedicato al quartiere. La riscoperta di questa piccola dimensione avviene secondo due direzioni: dall’età medievale verso l’oggi, studiando quelle città libere dell’italia comunale centro-settentrionale che presentavano una suddivisione della città in quartieri ed unità più piccole, secondo una forma già sviluppata di decentramento amministrativo, e dal secondo dopoguerra verso il medioevo, rileggendo la letteratura e i progetti che proponevano una progettazione di città per quartieri, sostenendo l’idea di città nucleare o cellulare, spesso portando a riferimento le cittadine del medioevo. In un mondo che va verso il virtuale e dove i nuovi mezzi trasporto e di comunicazione hanno permesso altre forme di prossimità, sosteniamo che per alcune cose ci sia ancora la necessità di una relazione fisica diretta. Lo studio dei vantaggi della piccola dimensione si rende quindi necessario.

MARCO MARINO
Le planimetrie della bellezza e della felicità. La morfologia sopravvissuta delle piccole città storiche italiane viste come modello del disegno urbano contemporaneo.
San Gimignano è diversa dai molti piccoli borghi italiani. Un resoconto del suo sviluppo urbano deve quindi essere preceduto da una breve riflessione sui motivi di questa diversità, che sollevano problemi storici e metodologici di portata più generale. San Gimignano occupa un posto unico nella storia mondiale perché è stato un mito del progetto della cultura urbanistica e architettonica del ‘900, perché è un esempio di sintesi del progetto urbano medievale, e perchè un giudizio su San Gimignano è in qualche misura un giudizio sul progetto non solo del passato, ma soprattutto del futuro. Studiare San Gimignano, riflettere su San Gimignano, spiegare le cause della suggestione di San Gimignano: tutto questo non è solo un affascinante compito scientifico, ma anche l’unico mezzo per spiegare la genesi di una forma di progetto che forse può essere ancora valida nella nostra epoca.

VITTORE NEGRETTO
L'emergenza di sistemi di resilienza nella progettazione e pianificazione urbana
L'emergenza climatica in corso sta provocando una serie di stress e shock agli ambienti urbani e le città devono affrontare continue emergenze con ripercussioni su tutto il sistema urbano. Attraverso le nozioni e gli approcci di Climate Change Adaptation (CCA), Disaster Risk Reduction (DRR) e Urban Resilience (UR), la tesi indaga gli effetti sistemici dell'emergenza climatica a livello locale. Di queste discipline, i diversi framework teorici e operativi definiti a livello globale sono utilizzati per capire sia il campo di azione a disposizione che le modalità di intervento degli strumenti della progettazione e pianificazione urbana. Attraverso il confronto con le esperienze che emergono dalla pratica e che sono approfondite attraverso casi studio europei, la tesi cerca una sintesi tra gli approcci teorici e pratici per capire come è declinata l’azione climatica all’interno dei campi della progettazione e pianificazione urbana.

ANDREA FANTIN
Storia di un Idea: La sezione di Valle e la fabbrica dell’acqua.
“This is no longer our mere school-book, with its image of a ‘country’ as a coloured space on a flat map, with only ‘boundaries’ and ‘capital’, and so on. It is first of all the essential sectional outline of a geographer’s ‘region’, ready to be studied.” Con queste parole nel 1922 il prof. Patrick Geddes introduce agli studenti della New School Parsons di New York la sua “Valley Section”. Attraverso un quadro evolutivo, partendo dalle figure di Sir. Thomas Henry Huxley e Sir. Patrick Geddes, la ricerca indaga la ‘Sezione di Valle’ come vero e proprio vettore della trasmissione della conoscenza. In un contesto di geografia mutata, dove i segni dell’uomo sono rintracciabili ovunque nel pianeta, interrogarsi sul ruolo della città-territorio e delle sue configurazioni spaziali, significa in prima istanza superare il dualismo città-natura, ricercando un rapporto simbiotico all’interno di differenti ecosistemi. La struttura della ricerca pertanto ruota attorno al rapporto ‘storico’ dicotomico tra l’acqua che divide - principio generatore di spazialità di governo - ed il bacino idrografico inteso come quella unità ecologica fisica che deve essere considerata nella sua completezza. Partendo dunque dalla riconoscibilità del bacino idrografico come “unità fisica inscindibile” - così descritta e regolamentata a partire dal 1989 con la legge numero 183 in Italia - la ricerca si prefigge l’obiettivo della prefigurazione della ‘Sezione di Valle’ come modello di supporto per la descrizione e lettura del territorio italiano odierno: l’idea portatrice di un forte pensiero progettuale e critico, ad oggi, largamente dimenticato.

CARLO FEDERICO DALL’OMO
Il Golfo di Trieste come modello sperimentale per l'integrazione tra Pianificazione Paesaggistica e Adattamento Climatico nel bacino mediterraneo.
Il bacino del Mediterraneo è caratterizzato da un forte legame tra lo spazio marittimo, l'acqua e insediamenti costieri. Questi caratteri hanno forgiato la storia e la morfologia stessa del territorio. Le coste del Mediterraneo si trovano ad affrontare enormi sfide ambientali e sociali, a causa della scarsità d'acqua, delle pratiche agricole non sostenibili, lo sfruttamento delle risorse naturali, il depauperamento dei sistemi bioregionali e del rapido aumento degli impatti dei cambiamenti climatici sulle aree urbane e sull'ambiente. Comprendere la complessità presente e futura di questo scenario interconnesso, sia a livello fisico che in termini di governance, è la chiave per intraprendere strategie e azioni di planning efficaci. In questo senso la ricerca è sviluppata su due assi principali di indagine: la Pianificazione Paesaggistica Regionale (PPR) ed il Climate Adaptation Planning (CAP). L’obiettivo è quello di identificare, attraverso la convergenza di questi due approcci territoriali, una modello di planning transboundary che riesca a sviluppare, tanto nel quadro conoscitivo che a livello strategico, una lettura territoriale integrata dei rischi e delle opportunità per l’ambito mediterraneo. La metodologia di ricerca si basa su un’unità territoriale definita come Landscape Transect (LT), indagandone la versatilità attraverso l’applicazione su tre differenti contesti di interazione: Land-Sea (L-S), Trans-Alpine (T-A) e Metro-Urban (M-U). Per dimostrare la validità di questo approccio e per rispondere alle domande di ricerca, il (L-S) LT è applicato su di un caso pilota, identificato come il Golfo di Trieste.